Trivellazioni: Come Superare Tutti Gli Ostacoli

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale, ma di senso contrario: questo è il senso di tutte le politiche ambientali che, quando coinvolgono attività come le trivellazioni petrolifere, con la necessità di scavare pozzi, rendono tutto molto più evidente.

Quando si decide di seguire una certa opzione, la cosa peggiore che si possa fare è assumere il principio del “rischio zero”.

Come abbiamo ben imparato nel corso degli anni, il rischio zero non esiste. Semmai, è il caso di andare verso una condizione di rischio accettabile, che comunque non può essere raggiunto se non con azioni specifiche.

Il problema energetico era presente anche nel 2012, all’inizio delle attività della Fabbrica e sorprende come in Italia la programmazione energetica di lungo periodo sia stata così messa da parte.

Trivellazioni al tramonto
Trivellazioni al tramonto

Trivellazioni: I Due Fronti Contrapposti

Le trivellazioni non sono un eccezione: vi fu un referendum nel 2016, al quale venne dedicato poco spazio in termini di comunicazione.

A distanza di anni il tema continua a riproporsi, con la medesima situazione di base.

Non entriamo nella polemica dei fronti contrapposti, perchè da sempre l’atteggiamento “di centro” della Fabbrica è quello di far coincidere gli interessi dell’una e dell’altra “fazione”.

In questo il tema delle energie fossili è il terreno ideale su cui realizzare questo principio.

Pertanto, ancora una volta dobbiamo dire che il problema non è certo “trivellazioni si” oppure “trivellazioni no”.

La questione da affrontare è “trivellazioni come” (questo lo vediamo bene anche nel caso del gas naturale).

Trivellare o non trivellare?

Referendum 2016

Quando si ricorre ad un referendum su un tema così importante e soprattutto “decisivo” per il futuro di una nazione, non ci deve essere spazio per i dubbi.

Questo per dire che non bisogna certo “forzare” la preferenza con una comunicazione faziosa.

Allo stesso tempo, bisogna evitare di evocare “spettri” o scenari apocalittici dall’una e dall’altra parte.

In altre parole potremmo dire che va assolutamente evitato di fare tanto dell’eco-populismo, quanto del negazionismo.

Quando prevale l’uno o l’altro atteggiamento, a perdere è la scienza.

Quando perde la scienza, le cose non possono che andare male, molto male.

Purtroppo il caso del referendum 2016 non è certo stato esemplare in termini di comunicazione e soprattutto di informazione scientifica corretta.

Ancora una volta, abbiamo assistito alla presenza e contrapposizione di due fronti che, per motivare le proprie ragioni, adducevano scenari apocalittici.

Dai disastri in mare dovuti alle piattaforme off-shore, all’enorme quota di posti di lavoro che si sarebbero persi in caso di “abbandono” di questa opportunità per il paese.

Sempre il fronte del si e quello del no.

Mentre è il “come”, l’unica cosa che conta.

Quali sono i rischi delle trivellazioni?

Trivellazioni: Pozzi e Rischi

Torniamo all’antico adagio: il rischio zero non esiste, quello accettabile invece si.

Assumendo questo principio a monte di tutto, ogni ragionamento conseguente va nella direzione giusta. Questo perché si riconosce un problema (fatto essenziale) e si rende possibile (e plausibile) l’adozione di soluzioni.

I pozzi di trivellazione non sono “innocui” per l’ambiente. Esattamente come una incisione chirurgica non è indolore.

A volte è necessaria, pertanto si farà il possibile per renderla meno dolorosa e, soprattutto, completamente (o quasi) invisibile dopo un determinato tempo trascorso dall’intervento.

Con i pozzi di trivellazione è la stessa cosa.

Da un lato, abbiamo un’aggressione ambientale che è finalizzata ad estrarre una preziosa risorsa. Dall’altro un “buco” che lascia evidenti conseguenze ambientali sia per quanto viene rilasciato, sia per come appare il territorio dopo che i lavori sono terminati.

Si, perché purtroppo il territorio italiano non è così ricco di materiale da estrarre.

Pertanto si pone il problema di evitare che, al termine delle operazioni, l’area di estrazione rimanga una landa desolata, improduttiva e rischiosa sia per l’ambiente che per la salute.

Da qui dobbiamo analizzare e conoscere quali siano i rischi, per porre contemporaneamente i giusti correttivi, affiché il beneficio superi il rischio.

I pozzi di trivellazione sono un ottimo banco di prova.

Questa è l’unica definizione di sostenibilità a cui le politiche ambientali devono fare riferimento.

Le cose da sapere

Trivellazioni Petrolifere

Quello delle trivellazioni petrolifere, tanto in Italia quanto nel mondo è probailmente il miglior caso in assoluto a cui possiamo fare riferimento.

Si, perché presenta una serie di rischi definiti e caratterizzabili, su ogni sito in cui ciò avviene.

Così, conoscendo in anticipo la situazione, possiamo portare sull’area interessata le soluzioni (rigorosamente naturali ed a lungo termine) adatte a rendere il rischio accettabile.

Senza l’aggiunta di queste soluzioni organizzate in forma di strategia naturale per la riduzione dei problemi, il rischio non è accettabile.

Tuttavia può diventarlo e non ricorrere a queste soluzioni è una mancanza da colmare.

Senza contare che ciò che esce dai pozzi di trivellazione può essere “intercettato” bene in molti casi.

Andiamo con ordine e analizziamo i 4 gruppi di rischi definiti, legati alla presenza di trivellazioni petrolifere:

Primo Gruppo di Rischio
Le emissioni dovute alla liberazione di inquinanti ed elementi presenti nel sottosuolo (tale evento riguarda sia l’aria, che il suolo che le acque)
Secondo Gruppo di Rischio
La presenza e l’uso dei fluidi di trivellazione (un mix di sostanze, anche particolarmente nocive, che vengono pompate all’interno dei “tubi” per favorire l’estrazione del petrolio)
Terzo Gruppo di Rischio
L’impatto delle costruzioni e dei mezzi che lavorano e si spostano nell’area dei pozzi di trivellazione (questo può essere più o meno rilevante a seconda della dimensione del campo petrolifero)
Quarto Gruppo di Rischio
Lo stato di impoverimento dell’area al termine delle operazioni (spesso i campi petroliferi rimangono altamente salini, senza possibilità di riportare vita vegetale, il che rende difficile un recupero dell’area stessa a nuove produzioni o financo alla rivegetazione)

Ammesse queste 4 grandi categorie di rischi, è necessario studiare e caratterizzare una o più strategie basate sulla natura.

Prima per circoscrivere il danno e poi per recuperare l’area ad un livello di vitalità persino superiore a quanto era prima dell’arrivo delle trivelle sul posto.

Cosa che è possibile, anzi obbligatoria, per rendere il rischio accettabile e far vincere tutti.

Trivellazioni con fracking un mix molto a rischio
Il fracking – immagine Casa Live

Trivellazioni Orizzontali

Il fracking ha avuto un notevole spazio mediatico alcuni anni orsono, sebbene ancora una volta non si siano affrontate alcune questioni essenziali che necessitano di approfondimento per una corretta decisione.

In breve, la metodologia prevede che dai pozzi di trivellazione si iniettino fluidi ad alta pressione nelle rocce del sottosuolo.

Questo con la finalità di “aprire” fessure e spazi che possano rilasciare petrolio o gas intrappolati che possono così risalire in superficie ed essere recuperati (il funzionamento è migliore per il petrolio rispetto al gas).

Per quanto riguarda le implicazioni ambientali controverse (sulle quali è necessario intervenire, altrimenti il rischio non può essere accettabile), sono:

  • la notevole quantità di acqua, che va portata sul sito (sappiamo bene come i cambiamenti climatici, con un progressivo aumento delle siccità, rendano questa scelta un pò rischiosa)
  • la presenza dei fluidi di trivellazione, che possono passare nel sottosuolo e da qui nella falda acquifera (si tratta in larga parte di sostanze altamente nocive che necessitano di un controllo superiore, per evitare che quanto paventato si manifesti)

La trivellazione orizzontale prevede che la ricerca vada appunto in orizzontale, non solo in verticale, nel sottosuolo.

Questo può avere anche delle implicazioni importanti sul piano geologico. Implicazioni che non trattiamo come Fabbrica Ambiente in quanto ci limitiamo alle conseguenze prettamente ambientali (che già sono importanti).

Quali cose da fare subito per superare gli ostacoli?

Trivellazioni Petrolifere In Italia

Non vogliamo passare in rassegna i tanti fatti di cronaca che negli ultimi anni hanno visto protagoniste compagnie petrolofere, comitati di cittadini, ambientalisti, scienziati indipendenti ed altri ancora.

In questa sede, è importantissimo spiegare cosa fare per rendere il rischio accettabile. In assenza o in presenza delle strategie che stiamo per vedere fanno la differenza tra un parere favorevole (rischio accettabile) ed uno contrario (rischio inaccettabile).

Prima di tutto, serve un piano di “immunizzazione ambientale” dell’area circostante.

Tale piano ha il fine di contrastare le emissioni dirette in aria, acqua e suolo: questo si può fare solo dopo aver studiato il profilo ambientale del sito. Dobbiamo considerare i pozzi di trivellazione come l’origine del rischio, ma non limitarci ad essi.

In seconda battuta, serve un piano per l’inertizzazione dei rifiuti composti dal mix di fluidi tossici usati per trivellare.

Attenzione, non stiamo parlando di un compito dell’azienda (essa farà quallo che la normativa richiede) ma di un ulteriore piano di garanzia esterno, a tutela della salute e dell’ambiente circostante.

Il terzo passaggio è quello di realizzare un piano di immunizzazione per l’impatto accessorio, vale a dire quello dei mezzi, delle costruzioni e di ogni cosa si realizzi a supporto delle trivellazioni petrolifere.

Infine, al termine delle operazioni, va portato sul campo che ospitava i pozzi petroliferi (ormai abbandonato dalle imprese) un piano di “back-up ambientale” che, grazie all’uso di specifici strumenti naturali, determini il recupero totale dell’area.

Per rendere il tutto più “smart”, si deciderà cosa e come usare questi elementi naturali e come recuperare la zona ex-sito di trivellazione, sulla base dell’uso che se ne potrà fare (in questo aiuterà anche l’Europa, con fondi dedicati proprio al recupero delle aree depresse).

Tutto questo può essere fatto già adesso, manca solo l’organizzazione.

Né imprese, né istituzioni ad oggi in carico hanno infatti il mandato operativo per mettere in pratica quanto descritto.

La mappa del PITESAI – immagine greenME

Cosa Scrive il PITESAI

E’ stato approvato nel 2022 per fare fronte alla problematica energetica (frutto a sua volta di una carente programmazione in passato).

Il “Pitesai” o Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, recita quanto segue:

il piano individua le aree in terraferma e in mare dove non sarà più possibile svolgere attività di ricerca e produzione di idrocarburi, e quelle residue dove sarà possibile proseguire tali attività, al termine di una verifica puntuale della loro sostenibilità in funzione di tutti i vincoli di tipo ambientale presenti sul territorio, tenendo conto che comunque l’utilizzo dei combustibili fossili si concluderà nel medio termine, in funzione degli obiettivi di decarbonizzazione che rappresentano il cardine della politica energetica italiana

estratto del PITESAI, anno 2022

Quanto riportato è molto interessante, per due motivi:

  1. prima di tutto, leggiamo che in alcune aree non vi saranno più pozzi di trivellazione attivi
  2. in seconda battuta, leggiamo che i vincoli ambientali sul territorio sono la guida per decidere se continuare l’estrazione oppure no
  3. infine, la ricerca degli idrocarburi è una “pezza”, perché oltre il medio termine solo la decarbonizzazione rappresenta il futuro

Questo ci permette di fare alcune interessanti considerazioni operative.

Trivellazioni come causa di tante altre questioni critiche
Trivellazioni e non solo

Conseguenze

Poco sopra abbiamo sottolineato l’importanza di intervenire per una restituzione alla vita dei siti dove le trivellazioni petrolifere hanno concluso le operazioni.

Questo è fondamentale, ma non chiaramente espresso dal PITESAI.

Fino ad oggi non si è mai avuta la percezione del fatto che le aree devono essere recuperate a condizioni migliori di quanto erano prima.

Se ciò non accade, c’è il rischio di zone improduttive ed eventualmente contaminate, con il rischio evolutivo di un trasferimento del danno da altre parti.

Questa azione nel “post-pozzi di trivellazione” è da preparare molto prima così che possa essere attuata da subito, nel momento del bisogno.

I limiti dei vincoli ambientali

Vincoli Ambientali

Purtroppo i vincoli ambientali di oggi hanno due grandi difetti (difetti che sono gli stessi dei cosiddetti “limiti di legge”, di cui la Fabbrica, dal 2012, spiega il superamento concettuale).

Primo fra tutti, il limite dei vincoli ambientali è quello di non considerare una moltitudine di inquinanti che già oggi sono presenti nell’ambiente.

Un sotto-difetto è poi quello di non considerare le miscele di contaminanti.

Infatti un mix composto da centinaia di sostanze come accade per i fluidi di trivellazione, di fatto, non ha un riferimento, soprattutto quando questi dovessero trovarsi liberi nell’ambiente.

Teniamo poi presente che in pratica ogni anno veniamo a conoscenza di nuovi inquinanti, soprattutto sotto-prodotti industriali. Questo rende ragione di avere un piano di limitazione sempre attivo e soprattutto modificabile in tempo reale al bisogno.

Il secondo grande difetto è che i limiti, pur non comprendendo tutti gli inquinanti, finiscono per essere restrittivi per le imprese, anche in condizioni “normali” di operatività.

Serve una strategia di immunizzazione ambientale naturale circoscriva i problemi determinati dai pozzi di trivellazione sul posto e li controlli.

Questo permetterebbe persino di ridurre i vincoli ambientali per le imprese, in parallelo ad una maggiore sicurezza per ambiente e salute.

Ancora una volta è questione di di “come” si fanno le cose, non certo di alzare barriere ideologiche da una parte e dall’altra.

Il futuro nella decarbonizzazione

Verso La Decarbonizzazione

E’ importante che l’attività “residua” di ricerca degli idrocarburi non sia alternativa, ma integrativa della decarbonizzazione.

Il modo migliore per farlo è esattamente quello di associare al “dark” delle energie fossili, il “green” delle solzuioni naturali che, progressivamente, prenderanno il sopravvento sul territorio lasciato dalle trivellazioni petrolifere.

Senza dimenticare poi che anche le energie rinnovabili, considerate in tutto il ciclo di vita degli impianti, determinano significativi rischi ambientali. Questo riguarda soprattutto rifiuti tecnologici che sono difficili da trattare.

Cominciare ad avere piani e strategie per le energie fossili sarà la migliore “palestra” o “scuola” per limitare ogni possibile rischio ambientale dovuto anche alle energie rinnovabili.

In definitiva, siamo sempre lì: il rischio zero non esiste, quello accettabile invece si.

Trivellazioni al largo di Brindisi – immagine Brindisi Report

Trivellazioni in Mare

Le cose scritte sopra hanno validità anche per la controparte offshore (trivellazioni petrolifere in mare).

Tuttavia, le modalità di azione e di intervento devono essere molto diverse.

Inoltre è necessario realizzare una strategia di prevenzione dell’emergenza anche sulle coste.

Infatti, solitamente, quando accade un problema sulle piattaforme offshore, così come quando si verifica un incidente al trasporto marittimo di petrolio e derivati, si va sempre “dopo” a cercare di liberare le coste dal danno ambientale.

I risultati sono spesso deludenti, non certo per colpa di chi ha lavorato, che anzi va lodato e ringraziato infinitamente perchè, in sua assenza, il disastro sarebbe stato ben maggiore.

Per valorizzare ulteriormente il lavoro fatto, è essenziale adottare un piano strategico per la prevenzione del danno costiero, che si caratterizza per due elementi inscindibili:

  • materiale speciale, di matrice naturale, in grado di “lavare via” il petrolio che possa essere presente sul sito in grande quantità e soprattutto utilizzato dalla popolazione
  • una barriera di difesa naturale in grado di rallentare e limitare l’adesione del petrolio alla costa, in ogni suo punto

Una sorta di “chicca” conclusiva, che si basa sull’associazione tra natura e tecnologia, prevede la possibilità di usare speciali iniezioni di materiale biologico nelle chiazze di petrolio che stanno migrando in mare, per ridurne il volume e quindi rendere l’azione di protezione delle coste molto più agevole.

Senza contare che anche l’ambiente marino (o acquatico in generale) ne gioverebbe moltissimo.

Conclusioni

Potremmo dire molte più cose sul tema delle trivellazioni petrolifere e di quanto esse siano state trattate con poco rigore sia per quanto riguarda la comunicazione, sia l’approccio alla realizzazione.

Ogni intervento ambientale determina rischi e la sua negazione determina l’innalzamento delle cosiddette “barriere ideologiche”, che, diciamolo senza timore di smentita, sono presenti da una parte e dall’altra.

Per questo, tante volte, dobbiamo pensare a fare un passo indietro ed “elevarci” per poter osservare dall’alto il problema.

Le trivellazioni petrolifere sono un capitolo importante della storia e della politica sia ambientale che energetica del mondo ed abbiamo il dovere di trattarle con rispetto e serietà.

Con il giusto tocco di innovazione e tradizione, senza contare l’aiuto che ci può dare la tecnologia, potremo certamente raggiungere una modalità utile per chiudere questo capitolo nel corso degli anni, sfruttando in modo sostenibile ciò che resta.

Per poi lanciare la grande sfida alle tematiche ambientali, climatiche ed energetiche del futuro, consapevoli di sapere come fare le scelte giuste.

Per oggi e per domani.